Cambiare sesso e nome: è necessario l’intervento chirurgico?

L’identità sessuale è uno tra i tratti distintivi dell’essere umano.

L’appartenenza ad un genere sessuale è individuata sulla base del corredo genetico e quindi dall’insieme dei caratteri sessuali primari e secondari con i quali un individuo nasce.

Fa parte delle vicende umane che una persona non senta coincidere la propria sessualità con il proprio corredo genetico e quindi con il proprio modo di essere.

Un individuo ha quindi il bisogno, e il diritto, di autodeterminarsi nella definizione di sé stesso, compresa la propria identità sessuale, nonché di porsi ed essere riconosciuto verso l’esterno secondo il proprio, reale modo di sentirsi.

Cambiare sesso, e cambiare nome, è possibile: lo riconosce il nostro ordinamento, già con la Legge 164 del 1982.

Vediamo come la legge italiana tratta il diritto al cambiamento di sesso e come l’interpretazione della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha arricchito e ampliato questo diritto.

 

Indice:

 1. Il diritto a cambiare sesso e nome: cosa dice la legge.

2. Cambiare nome: è condizione necessaria l’intervento chirurgico.

3. L’intervento chirurgico: un mezzo per il benessere psicofisico e non per ottenere il cambio di nome.

4. Il diritto a scegliere il proprio nome: non solo la modifica da maschile a femminile o viceversa.

 

1. Il diritto a cambiare sesso e nome: cosa dice la legge.

Non tutti hanno la fortuna di nascere ed essere riconosciuti con una identità sessuale, che coincida con il proprio modo di essere e sentire.

È il tema dell’identità di genere, ossia dell’identificazione di una persona con il sesso cui sente di appartenere e non con il sesso biologico.

Il contrasto tra attribuzione all’atto di nascita ad un genere sessuale e percezione della propria sessualità, e quindi la presenza di una disforia di genere (1), può infliggere profonde sofferenze intime e generare dolore, nel modo di sentirsi verso il mondo esterno.

Quali diritti ha, dunque, una persona che soffra questo conflitto e intenda affermare la propria identità di genere?

La legge (2) e precisamente la legge 164 del 1982 afferma il diritto di cambiare sesso.

Infatti, “la rettificazione (del sesso) si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

È quindi certamente diritto, per chi intenda cambiare sessorivolgersi al Tribunale che dopo una istruttoria ratificherà il mutamento del genere sessuale.

Questa disposizione, come detto ormai risalente al 1982 è piuttosto spoglia ed incerta e solleva due questioni tra loro connesse e sovrapposte, cui risponderemo con il nostro articolo:

  • Che tipo di intervento chirurgico si intende con “intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”?
  • Cosa succede all’identità di una persona, fino a che non sia stata pronunciata la sentenza di cambiamento di sesso? Quali diritti ha, nell’attesa della sentenza, una persona transessuale, con particolare riferimento al proprio nome e alla possibilità di vivere nella società con la sua reale identità percepita?

In concreto, secondo la legge 164 del 1982, la persona non può cambiare il nome fino a quando il giudice non confermi l’avvenuta esecuzione dell’intervento chirurgico ed emesso, in conseguenza, una sentenza di cambiamento sesso.

Certamente questa attesa, che può anche essere molto lunga, per la persona comporta un ulteriore patimento e un pregiudizio per la sua identità personale.

Dall’art. 5 (3) della legge del 1982 si evince che il “nuovo sesso e nome” risulteranno all’anagrafe solo dopo che il Tribunale avrà dichiarato con sentenza la modifica e, quindi, dopo che avrà verificato le intervenute modificazioni dei caratteri sessuali.

Solo nel 2011 la legge 164 è stata parzialmente modificata, con riferimento alle “intervenute modificazione”: il Tribunale autorizza un trattamento medico-chirurgico solo “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali”.

Vediamo in questa breve guida se la legge italiana rispetta i diritti della persona e l’applicazione di tali diritti dopo gli interventi della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.

Questi due temi recentemente sono stati affrontati anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, facendo chiarezza su entrambi, rispondendo alle domande che ci siamo posti poco sopra:

  • È necessario un intervento di conversione integrale del sesso per il cambiamento del genere?
  • Come tutelare il diritto all’identità personale dell’individuo, fino a che non sia pubblicata una sentenza di mutamento di sesso?

 

2. Cambiare nome: è condizione necessaria l’intervento chirurgico?

Un uomo o una donna, al fine di vedere dichiarata all’anagrafe e verso il mondo esterno la propria e reale identità sessuale ed appartenenza di genere e quindi per cambiare il nome, devono per forza intervenire chirurgicamente sui caratteri sessuali primari (quindi i genitali)?

No.

Questa risposta arriva dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e ancora prima dalla Corte di Cassazione italiana.

Queste autorità fanno quindi chiarezza sul richiamo della Legge 164 alle “intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

La legge del 1982, con il suo riferimento alla modificazione dei caratteri sessuali, non era chiara e netta: quale doveva essere la portata della modificazione dei caratteri sessuali, per dichiarare il cambiamento di sesso?

Era richiesta la modificazione dei caratteri sessuali primari, quindi dei genitali?

La genericità di questa definizione rendeva il cambiamento di sesso, in astratto, possibile con la modifica sia dei caratteri sessuali primari (quindi i genitali) modificabili solo per via chirurgica (con esiti incerti e senza alcuna garanzia dal punto di vista funzionale) sia dei caratteri secondari (pomo d’Adamo, distribuzione pilifera, seno, voce, distribuzione della massa muscolare), modificabili anche con il solo trattamento ormonale (4) terapia ormonale sostitutiva

I nostri giudici della Corte di Cassazione hanno chiarito ogni dubbio.

L'interesse pubblico alla definizione certa dei generi non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione dell'integrità psico-fisica dell'interessato sotto lo specifico obbligo dell'intervento chirurgico, purché la serietà e univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale siano rigorosamente accertate in sede giudiziale (5).

Sono quindi l’intima convinzione della persona che intende cambiare sesso e la serietà e fondatezza del suo percorso, ad essere base e presupposto per la dichiarazione del mutamento di genere: non è l’intervento chirurgico il fatto discriminante per la dichiarazione giudiziale di cambiamento di sesso, ma l’accertamento, soprattutto nell’interesse della persona coinvolta, che tale volontà sia stata bene ponderata e frutto di un sentire personale.

La Corte Europea ha, poi, affermato che il rifiuto ad autorizzare “il cambiamento del nome della persona transessuale durante il processo di transizione sessuale” e “prima del completamento dell’operazione di conversione costituisce una violazione sproporzionata del diritto della medesima al rispetto della sua vita privata”.

Tale rifiuto sarebbe quindi in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e in particolare con l’art. 8 (6).

La Corte Europea ha, infatti, affermato che il concetto di “vita privata” non comprende solo l’integrità fisica e morale di una persona, ma abbraccia un insieme di valori molto più ampio, tra i quali: “l'identità o l'identificazione sessuale, il nome, l'orientamento sessuale e la vita sessuale”, tutti aspetti che rientrano nella sfera personale tutelata dall'articolo 8 della Convenzione.

In quanto sfera personale è quindi stabilito un diritto all’autodeterminazione, “di cui la libertà di definire il proprio orientamento sessuale è uno degli elementi essenziali”.

Il principio affermato è che una norma che stabilisca l’intervento chirurgico di cambiamento di sesso come unico criterio, per autorizzare il cambiamento di nome ed il cambio di genere sui documenti è un criterio eccessivamente astratto, generale e che omette di valutare caso per caso e quindi il percorso intimo di ogni singola persona.

Proprio nel caso trattato dalla Corte Europea, questa ha censurato lo Stato italiano, poiché i Giudici “non hanno tenuto in considerazione il fatto che la stessa (persona transessuale che aveva richiesto il cambiamento di nome, ndr) aveva intrapreso da anni un processo di transizione sessuale e che il suo aspetto fisico, così come la sua identità sociale, era già femminile da molto tempo”.

La Corte Europea ha quindi stabilito che: “Il rifiuto delle autorità italiane di autorizzare il cambiamento del nome della persona transessuale durante il processo di transizione sessuale e prima del completamento dell'operazione di conversione costituisce una violazione sproporzionata del diritto della medesima al rispetto della sua vita privata e si pone, pertanto, in contrasto con l'art. 8 della Conv. eur. dei diritti dell'uomo” (7).

Certamente, quindi, anche la modificazione dei caratteri sessuali secondari (riduzione del pomo d’Adamo, distribuzione pilifera, seno, voce, distribuzione della massa muscolare), anche se non è richiesta quale condizione imprescindibile per cambiare sesso e cambiare nome, può essere indicativa di un percorso già iniziato e della disforia sessuale, quindi della serietà e fondatezza della richiesta di cambiamento del sesso.

In concreto, le caratteristiche fisiche hanno meno rilevanza, nel procedimento di accertamento del sesso, “rispetto al convincimento personale e alla capacità di ciascuno di autodeterminarsi (8)”.

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Il cambiamento di nome può quindi essere autorizzato:

  • prima dell’intervento chirurgico;
  • senza che l’intervento chirurgico comporti necessariamente la conversione dei caratteri sessuali primari (genitali);
  • senza del tutto l’intervento chirurgico;
  • previa verifica della seria e fondata convinzione della persona transessuale nel percorso di cambiamento di sesso.

 

3. L’intervento chirurgico: un mezzo per il benessere psicofisico e non per ottenere il cambio di nome.

I principi sopra descritti con la decisione della Corte Europea erano stati anticipati anche dalla nostra Corte Costituzionale.

Anche in Italia, da ormai qualche anno, è affermato che l’intervento chirurgico sui caratteri sessuali primari non sia condizione necessaria ed essenziale, per poter modificare la propria identità personale e quindi anagrafica.

“La modifica per via chirurgica non è dunque ritenuta l’essenziale prerequisito per accedere al procedimento di rettifica anagrafica ma quale mezzo – possibile ma non necessario – per giungere a un pieno benessere psicofisico, in nome del prevalere «della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico (9)”

Per affermare e dichiarare il cambiamento di sesso, e quindi anche il diritto di cambiare nome, rileva il percorso di consapevolezza della persona e la tutela della sua salute psico-fisica.

Il ricorso all’intervento chirurgico deve essere letto solo nell’interesse del benessere psico-fisico della persona e non come uno strumento necessario, per affermare successivamente la propria identità all’anagrafe.

L’intervento chirurgico è quindi uno strumento per consentire alla persona di “raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica” (10)

Non solo la Cassazione e la Corte Costituzionale hanno affermato questi principi, che sono stati applicati anche dai nostri Tribunali.

I Giudici hanno infatti affermato come il trattamento chirurgico sia solo “strumento eventuale”, per garantire “una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza” e quindi il pieno benessere fisico e psichico della persona (11).

 

4. Il diritto a scegliere il proprio nome: non solo la modifica da maschile a femminile o viceversa.

Ma la modifica del nome è vincolata alla mera trasposizione dal maschile al femminile o viceversa?

La persona che cambi sesso, ha dei vincoli nella scelta del proprio nome?

No.

Se ti chiami Paolo, non sei costretto a modificare il tuo nome in Paola.

Anche in questo caso, certamente delicato, perché il nome consente ad una persona di identificarsi e definirsi, prevale l’interesse all’identità personale dell’individuo.

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (12) ha infatti affermato che il nome non debba essere necessariamente convertito nel genere.

Il diritto al nome è un segno distintivo dell’identità personale, della quale l’identità sessuale è una delle espressioni: scegliere liberamente il proprio nome, al cambiamento del sesso, è quindi una legittima autodeterminazione.

 

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Note:

1. disforia di genere: identificazione con il sesso opposto.

2. Così, art. 1, comma 1, legge n. 164 del 1982.

3. art. 5 legge n. 164 del 1982“Le attestazioni di stato civile riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l'attribuzione di sesso sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome.”

4. Studium Iuris, n. 4, 1 aprile 2018, p. 446.

5- Ai fini della rettificazione anagrafica del sesso (nella specie, da maschio a femmina), non è necessario un previo intervento chirurgicodemolitivo e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, allorché vi sia stato l'adeguamento dei caratteri sessuali secondari estetico-somatici e ormonali e sia stata accertata (tenuto conto dell'interesse pubblico alla certezza degli stati giuridici) l'irreversibilità, anche psicologica, della scelta di mutamento del sesso da parte dell'istante. Corte di Cassazione civile, Sez. I, Sent. n. 15138 del 20.07.2015.

6. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

7. Corte europea dei diritti dell’uomo, 11.10.1018, n. 55216/2018 

8. La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 2, 1 febbraio 2019 

9 Corte costituzionale n. 221 del 2015.

10. Corte costituzionale n. 180 del 2017.

11. L'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale. Il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere fisico e psichico della persona. La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza tra sesso anatomico e sesso anagrafico porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico. Tribunale di Napoli, sez. XIII, Sentenza del 03.12.2019 

12. Il riconoscimento del primario diritto all'identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell'attribuzione di sesso, rende conseguenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tenere conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato. (Nella specie, la Corte d'appello aveva negato il diritto alla rettifica del prenome "Alessandro" in "Alexandra" ritenendo che necessariamente dovesse essere modificato nel corrispondente di genere "Alessandra" Corte di Cassazione, sez. I civile, Ordinanza n. 3877 del 17.02.2020.

 

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