In caso di violazione dei protocolli è legittimo il rifiuto di lavorare da parte del lavoratore?

L’azienda per la quale lavoro, a settembre 2020, ci ha fatto rientrare in presenza al lavoro. Nonostante i protocolli di sicurezza fossero attivati, a ottobre si è diffuso il Covid in ufficio contagiando almeno una quindicina di persone.  Dopo un ulteriore periodo di smartworking il datore vuole che rientriamo in presenza a partire da Gennaio 2021, rassicurandoci che ci avrebbe garantito una turnazione di team. Sono obbligata a rientrare in presenza al lavoro e se sì, come mi devo comportare se il nostro responsabile non mette in atto i turni promessi?

Diritto del lavoro (29/01/2021)
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Autore:
Avvocato Egidio Rossi
Diritto del lavoro, Separazione divorzio e modifica delle condizioni, Divorzio breve, Condominio, Recupero Crediti, Risarcimento danni e responsabilità civile, Locazioni ad uso abitativo, Immobili
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Risposta:

L’emergenza sanitaria conseguente alla pandemia da COVID-19 ha avuto un impatto non soltanto nella socialità delle persone durante il tempo libero ma, soprattutto, in ambito lavorativo.

I DPCM e le diverse disposizioni legislative che si sono susseguite dall’inizio della pandemia ad oggi hanno introdotto nella realtà del lavoro nelle aziende e negli studi professionali precise norme di comportamento del datore di lavoro, da una parte, e del lavoratore dall’altra.

Il punto di riferimento è rappresentato dal protocollo di comportamento aziendale, nella prima versione del marzo 2020 successivamente integrata, adeguandosi all’evolversi dell’emergenza sanitaria.

Il protocollo contiene precise indicazioni per l’organizzazione in azienda del datore di lavoro:

  1. a) monitoraggio della temperatura (con obbligo del lavoratore di rimanere a casa se temperatura di 37,5° o superiore);
  2. b) controlli all’ingresso;
  3. c) limitazione di contatti con fornitori esterni;
  4. d) pulizia e sanificazione degli ambienti;
  5. e) igiene delle mani;
  6. f) utilizzo di mascherine e guanti;
  7. g) organizzazione spazi comuni con accessi contingentati (mense, spogliatoi, aree fumatori;
  8. h) possibile chiusura dei reparti non necessari e smart working;
  9. i) rimodulazione dei livelli produttivi e dei turni;
  10. l) utilizzo ammortizzatori sociali e ferie;
  11. m) limitare trasferte e riunioni;
  12. n) organizzare orari di ingresso-uscita scaglionati;
  13. o) gestione organizzata e tempestiva di un caso sintomatico.

È da ritenere che queste disposizioni, volte a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro rispetto allo specifico rischio di contagio da COVID-19, rientrano a pieno titolo nel novero delle disposizioni aventi la finalità di proteggere il lavoratore nello svolgimento delle mansioni affidate, con particolare riferimento all’art. 2087 del Codice Civile (1) e alle norme di cui al D.Lgs. 81/2008.

Ma se in azienda non viene garantita l’applicazione e il rispetto delle richiamate norme e disposizioni di legge, il lavoratore come si può tutelare?

In linea generale, quando vengano meno le condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro, i dipendenti possono legittimamente rifiutarsi di rendere la propria prestazione lavorativa, conservando al contempo il diritto alla retribuzione.

Il rifiuto del lavoratore di svolgere la prestazione si fonderebbe sia sull’art. 1460 c.c. (2), che consente al soggetto adempiente, quindi al lavoratore, di sospendere la prestazione in caso di inadempimento dell’altra parte, il datore di lavoro, sia sull’art. 2087 c.c. a norma del quale ogni imprenditore deve adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Anche la Cassazione (3) ha considerato legittimo il rifiuto del lavoratore a prestare la propria opera, in caso di violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di garantire condizioni di sicurezza sul lavoro, conservando intatto il diritto alla retribuzione e non potendogli derivare conseguenze sfavorevoli in ragione dell'inadempimento datoriale.

Resta inteso che, nel rispetto della buona fede nei rapporti contrattuali (e, in particolare, nel rapporto di lavoro), affinché il rifiuto della prestazione lavorativa sia legittimo e permanga il diritto alla retribuzione, non è sufficiente che il datore di lavoro venga meno ad uno qualsiasi dei propri obblighi, ma occorre che l'inadempimento appaia di rilevanza tale, da giustificare l'interruzione della prestazione e che il rifiuto non sia strumentalmente volto a sottrarsi ai propri doveri contrattuali.

Occorre, pertanto, operare una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti, che tenga conto non soltanto della coincidenza temporale tra i due inadempimenti, ma anche della proporzione tra la reazione di una parte rispetto all'inadempimento dell'altra, oltre al nesso di causalità tra le due condotte.

In sostanza l’inadempimento dell’azienda deve essere grave e tale da incidere in modo diretto sulla sicurezza del lavoratore.

Si può quindi legittimamente ritenere che il rientro in presenza all’interno dell’azienda, per poter svolgere le mansioni, debba necessariamente essere garantito dal rigoroso rispetto, da parte del datore di lavoro, sia del protocollo di prevenzione Covid attualmente in vigore per tutte le realtà lavorative, sia di una idonea e regolare turnazione per lo svolgimento dell'attività in regime di lavoro agile.

In caso contrario il consiglio è quello di inviare all’azienda una formale contestazione, da redigersi con l'assistenza di un legale, al fine di far presente la situazione di pericolo e richiedere il rispetto dei protocolli di sicurezza prospettando, in caso contrario, il legittimo rifiuto a svolgere la prestazione.

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NOTE

(1) art. 2087 c.c. L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

(2) art. 1460 c.c. Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.

(3) Cassazione Civile, Sez. Lav., 29 marzo 2019 n. 8911, conforme Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 836/2016.

 

 

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